Dante, nostro contemporaneo?
Marco
Grimaldi ha scritto un breve, e intenso, saggio su Dante e l’ha
intitolato “Dante, nostro contemporanero. Perché leggere ancora la
Commedia” (Roma, Castelvecchi, “irruzioni”, pagg. 45, €
5.00). Ha il taglio, quasi, di un pamphlet, più che di un saggio
letterario, e si legge d’un fiato. La contemporaneità additata è,
tuttavia, quella di qualunque classico, anzi direi di qualunque
scrittore che sia davvero scrittore, ma Grimaldi mette invece
giustamente in guardia ogni lettore dall’apparente attualità delle
sbalorditive e appariscenti attualizzazioni. La concezione della vita
e dell’arte che aveva Dante non è la nostra, ma quella di un
intellettuale fiorentino tra XIII e XIV secolo. E’ nostro il suo
mettersi in discussione, e dalle fondamenta, e scrivere un poema
proprio su questa integrale ridiscussione della propria vita e dei
propri convincimenti. Persuade meno il confronto con Kant e l’idea
che Dante prefiguri la libertà dell’atto morale così come la
concepisce Kant e dopo Kant la modernità. Se non ho frainteso quanto
scrive Grimaldi nelle pagine finali. In realtà il libero arbitrio di
cui parla Dante è quello di Agostino, fortemente condizionato, per
non dire limitato, dalla predestinazione divina: che a Dante genera
però dubbi, angoscia, e ne incarna bene la profonda tristezza il
personaggio di Virgilio. Soprattutto nell’incontro con il “redento”
Stazio. Ma il disagio intellettuale, prima che emotivo, di Dante si
rivela drammaticamente nel problema dei bambini irredenti. E che
Dante sia toccato, e dolorosamente, dal problema ce lo fa sentire
contemporaneo. Il resto no, rientra nella vicenda intellettuale di un
poeta certamente innovatore, ma legato a doppio filo ai trovatori, ai
trovieri, allo Stil Novo. Proprio all’inizio del viaggio, infatti,
l’incontro con Francesca, con la dannazione di Francesca, gli fa
crollare un mondo di certezze addosso. Il viaggio è la ricostruzione
di un convincimento riguardo alla vita assai più complesso di quello
di un Arnaut Daniel, di un Guinizelli, di un Cavalcanti. L’amore
può – può! - essere dannazione. Il canto centrale del poema, il
XVII del Purgatorio, spiega perché. La visione finale di Dio glielo
ripropone il problema, ma il viator non riceve tuttavia da Dio
nessuna risposta, il Motore Immobile lo assorbe nella propria
identità di Causa delle cose, il poeta è per un attimo senza tempo
assorbito dall’Essere, ma può raccontarlo solo dopo ch’è
ritornato nel divenire, con una grande dose di oblio. E non sa
trovare altra spiegazione che quella causa è Amore, l’amor che
muove il sole e l’altre stelle. Il problema di Francesca all’inizio
dell’inferno, di Guinizelli alla fine del Purgatorio, e di Beatrice
nel congedo del Paradiso, trova una soluzione tipicamente dantesca:
linguisitica. Il Motore, la Causa, l’Essere è Amore. Ma non quello
disordinato dei sensi, bensì quello che trascende i sensi, ed è
l’Ordine supremo delle cose. Nell’ultima tappa del viaggio,
all’inizio dell’ultima tappa, lo spiega bene Beatrice:
Le
cose tutte quante
hanno
ordine tra loro e questo è forma
che
l’universo a Dio fa simigliante.
Di
quest’ordine, di questa calma, che per gli uomini s’incarnerebbe,
dovrebbe anzi incarnarsi nella Giustizia, in terra non c’è
traccia, l’aiuola che ci fa tanto feroci è il regno del disordine,
della violenza, degli appetiti, del Caos. Accidenti se Dante non è
nostro contemporaneo! In margine: la concezione agostiniana, e quindi
dantesca, del libero arbitrio, mi appare oggi assai più moderna
della libertà assoluta pensata da Kant. E non solo perché già
Nietzsche ne aveva messo in evidenza i limiti, ma soprattutto perché
Darwin prima e oggi le neuroscienze hanno profondamente
ridimensionato l’autonomia delle decisioni umane. Tutto ciò ci
dovrebbe, tra l’altro, far ripensare i nostri attuali sistemi
legislativi in fatto di responsabilità morale dell’individuo e di
comminazione di pene da parte della società. Ma questo è un altro
discorso. Sul quale anche l’inflessibile Dante non ha certezze
assolute. E se non le aveva un credente del XIV secolo, ciò dovrebbe
farci riflettere.
Fiano
Romano, 21 gennaio 2019
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