Lo ricordo, tanti anni fa,
all’Auditorium della RAI di Napoli, per Nuova Musica e Oltre, il
festival di musica contemporanea diretto da Mario Bortolotto. Credo
che fosse il 1978. Mario Bertoncini, alto, elegantissimo, tutto
vestito di nero, maglione a girocollo, si siede al pianoforte e
suona, impassibile, In C, di Terry Riley. Un’ovazione fragorosa
esplode alla fine dell’esecuzione e lo costringe a ripetere il
brano. Erano i segni dei tempi, ai quali restarono sordi solo i più
ottusi epigoni di avanguardie agonizzanti. Non i grandi musicisti
delle stesse avanguardie. Nel pomeriggio prima del concerto,
accompagnai Aldo Clementi tra vari negozi di ferramenta del Lungomare
di Chiaia a cercare viti e bulloni, per “preparare” il
pianoforte. Marc Monnet era stato fermato alla frontiera di
Ventimiglia perché in possesso di una rivoltella. “E questa che
cos’è?” domanda un doganiere. “Uno strumento musicale”,
risponde Monnet, imperturbabile. Ed era vero: avrebbe sparato in un
suo pezzo. Mario Bertoncini, allora, non viveva più in Italia, ma a
Berlino. Fu salutato con entusiasmo, e abbracciato, da Aldo
Clementi, e da Francesco Pennisi. Mi accorgo, scrivendo, che sto
facendo un elenco di scomparsi. Come anche Luciano berio, Pierre
Boulez, Karlheinz Stockhausen. Se qualcosa ci avevano insegnato era
la libertà di essere sé stessi. Altro che dogmatici! Dogmatici, se
mai, come sempre, gli epigoni, ma non tutti. Non certo Armando
Gentilucci, anche lui scomparso. O Paolo Renosto, anche lui insieme
agli altri, fuggito dove nessuno sa se da là c’è ritorno. O
Franco Evangelisti, romano purosangue. Come Bertoncini. La memoria è
spesso un registro di amori interrotti. Francesco Petrarca li
scriveva a mano a mano che lasciavano la terra sul manoscritto della
sua amata Eneide. E noi, su quale registro li scriveremo? Mario
Bertoncini era stato tra i fondatori di Nuova Consonanza. Il moderno
non è mai stato la negazione dell’antico o l’esclusione del
diverso. Clementi adorava Schubert, Evangelisti Beethoven. Berio,
Monteverdi. Mi accorgo, ricordandoli, che un’epoca si è chiusa.
L’altra, che ora viviamo, non so, come Socrate, se sia più
tollerante o più dogmatica, più aperta o più chiusa, migliore o
peggiore. So che il giudizio è sospeso, e come Socrate, rievocato da
Platone, posso solo affermare che la verità su quale sia il mondo
migliore la sa solo il dio o chi ne fa le veci. Arrivederci –
forse! -, Mario. Ma dalla nostra Memoria senz’altro non sei mai
andato via.
Fiano
Romano, 21 gennaio 2019
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