YOUNG ARTISTS PIANO SOLO
SERIES
GIOVANI
PIANISTI IN AULA MAGNA
Diversi
modi di essere classico
UNIVERSITA’
DEGLI STUDI ROMA TRE
STAGIONE
DI CONCERTI 2018-2019 di romatreorchestra
Luca
Lione interpreta Haydn, Liszt e Skrjabin
Il
percorso che dall’ultimo Haydn conduce a Liszt e alla densissima
quinta sonata op. 53 di Skrjabin è tutt’altro che strampalato, e a
seguirlo con occhio attento alla costruzione delle pagine più che
all’efficacia emotiva con cui colpiscono l’ascoltatore si possono
impostare interessanti e non marginali riflessioni. Alla fine,
l’emozione arriva lo stesso, è anzi accresciuta dalla
consapevolezza di come sia stata provocata. Intanto, accomuna i tre
compositori il coraggio della sperimentazione: sono tutti e tre, fin
dalla giovinezza musicisti non solo informati su quanto di nuovo
accade nel proprio tempo, ma che anche a loro volta si mettono
continuamente anch’essi alla ricerca dell’inedito,
dell’invenzione spericolata, curiosi come sono dell’insolito, e
sempre sul filo di un salto nel buio, vogliono cioè affrontare il
rischio dell’ignoto, addentrarsi dove prima non s’era inoltrato
nessuno. Oggi lo chiameremmo atteggiamento avanguardistico. Dei tre
forse il solo Liszt accetterebbe di essere definito artista
d’avanguardia, ma anche lui con riserva, rispettoso e amante
com’era della tradizione, che in particolare si riassumeva per lui
in due nomi: Bach e Beethoven. Ma cominciamo con Haydn. Luca Lione
ha interpretato la sonata più famosa e più frequentata dai
pianisti, la 52a in mi bemolle maggiore. Beethoven impara
molto da questa sonata. A cominciare dalle insolite relazioni
armoniche. Il primo tempo è in mi bemolle maggiore, e una spesso
osservata tradizione vorrebbe che il tempo centrale, lento, della
sonata, sia nella tonalità della sottodominante, in questo caso la
bemolle maggiore, o eventualmente il suo relativo minore, fa minore,
tonalità tra l’altro assai cara a Haydn, come lo sarà per
Schubert (ma sono moli i legami e le affinità tra Haydn e Schubert,
compresa la frequente alternanza maggiore minore sulla stessa
tonica). Invece l’adagio di questa sonata è in mi maggiore.
Tonalità apparentemente lontanissima. Ma diventa immediatamente
comprensibile con l’intervento della sesta napoletana. Beethoven lo
seguirà spesso, in questo. Tipicamente haydniana è poi la frenesia
ritmica del Finale, un Presto, con il tema di note ribattute.
L’analisi in realtà scopre che il tema del finale è imparentato
con il tema che attacca il primo tempo. Non è questo lo spazio per
proseguire oltre nell’analisi della sonata. Basti, però, osservare
che la logica di ricavare da pochi elementi tutti i temi di una
composizione fa parte del sistema costruttivo di Haydn, che anche in
questo offre un modello a Beethoven. Nella seconda Ballata di Liszt,
in si minore, la derivazione da un’unica idea di tutta la
costruzione musicale si fa addirittura esibita, ed è perfettamente
percepita dall’ascoltatore. Anche Skrjabin infine tende a
condensare l’idea di una sonata nell’elaborazione intricata,
quasi contorta, armonicamente irrequieta, di un’unica idea di
partenza. Luca Lione questa comune ricerca di unità, di elaborazione
coerente delle idee musicali, la fa sentire attraverso una magistrale
indipendenza della mani e delle dita, in modo da ottenere la pulizia
delle voci che entrano in gioco, e questo forse spiega anche
l’aggiunta, nel programma del concerto, del decimo preludio, in mi
minore, del Clavicembalo ben temperato di Bach. Anche qui un’unica
idea sulla quale è costruito un monumentale edificio
contrappuntistico che però non rinuncia al piacere del canto. Ma
allora tanto valeva eseguire il preludio come lo ha scritto Bach, e
non già nella riscrittura alquanto mielosa di Aleksandr Ziloti, che
oltretutto decurta il brano della stretta finale. Bach è in fondo il
padre di tutto questo sperimentalismo armonico e contrappuntistico.
Sentiremo comunque parlare del giovane pianista calabrese, perché le
sue interpretazioni mostrano già una maturità notevole nella
comprensione della struttura delle pagine interpretate e una sottile
sensibilità armonica nel tocco, che segue e mette in rilievo con
intelligenza proprio lo sviluppo dell’armonia che innerva ogni
brano. Se a ciò si aggiunge l’eleganza e la libertà del
fraseggiare, l’intensità espressiva con cui sono esaltate le
volute del canto, si può comprendere da che complesso studio nascano
le letture musicali di Lione. La serata faceva parte di un ciclo
dedicato a giovani pianisti, come l’ha lodevolmente immaginata e
programmata Valerio Vicari, per l’Università Roma Tre, nell’ambito
della stagione concertistica di Romatreorchestra, di cui è il
direttore artistico. Nell’Aula Magna dell’Università, sulla Via
Ostiense, il non folto pubblico (una sessantina di persone) ha
seguito con attenzione le esecuzioni, e ha applaudito con calore il
pianista, chiedendo e ottenendo un bis: un preludio di Nino Rota,
accolto con un grido di entusiasmo. Quando intelligenza e sensibilità
si uniscono in uno stesso interprete con tanta naturalezza non può
non risultarne anche nell’ascoltatore l’eccitazione di una
naturale e consapevole partecipazione che è insieme un’intuizione
intellettuale ed una compartecipazione emotiva.
Roma,
20 gennaio 2019
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