Oggi è il giorno dell’epifania, dell’ἐπιφάνεια,
apparizione, di Dio sotto le vesti di un
bambino. Si dimentica o si trascura troppo spesso l’origine greca
di molti dei concetti fondamentali del cristianesimo. I vangeli e
tutto il Nuovo Testamento, sono scritti in greco. Matteo, scritto
prima in aramaico, si è diffuso subito tradotto in greco, la lingua
del Mediterraneo orientale. I primi cristiani percepivano un’intima
affinità tra il Cristo e Dioniso. Nelle Baccanti di Euripide
l’epifania del dio avviene dopo la comparsa di Agave con la testa
mozzata del figlio su un tirso. In greco la
verità è il non nascosto: ἀλήθεια.
Ma proprio per questo, poi, la mistica
cercherà nell’occultamento simbolico dei significati il senso
profondo della Verità che si s-vela, alla lettera: si toglie il velo
che la nasconde. Per tutto il medioevo, sia latino che greco, periodo
tutt’altro che oscuro, ma ricchissimo di pensiero, la mistica
numerica costituisce una lunga e ininterrotta riflessione sul
rapporto tra i numeri e la realtà, tra i numeri e la storia. Dante,
di questa tradizione, tocca il vertice, e ne esaspera
l’intricatissima rete di relazioni tra realtà e numero, storia
della redenzione e numero. A cominciare dalla struttura più
appariscente (epifanica!) della Commedia che ruota intorno al numero
tre: tre cantiche di 33 canti ciascuna, più un canto introduttivo a
costituire il numero perfetto di 100. Manfred Hardt (I numeri nella
Divina Commedia) ipotizza addirittura che il poeta abbia pianificato,
prima di scrivere il poema, tutta la sua struttura canto per canto e
previsto i luoghi dove inserire numeri e parole chiave. Non sarebbe
un procedimento estraneo alla pratica degli scrittori medievali. Si
pensi solo alla capillare misurazione delle quantità sillabiche a
chiusura dei periodi, nella prosa, il
cursus, che Ponzio il
Provenzale, il
primo a scriverne, a nostra conoscenza, così lo descrive: cursus
est matrimonium spondeorum cum dactilis prolatione debita celebratum.
Il
libro di Hardt è una miniera d’informazioni e di sollecitazioni.
Si affianca, per importanza esegetica, al saggio Figura di Erich
Auerbach. Prendiamo l’esempio del cielo del Sole, nel Paradiso. E’
il quarto cielo, dunque il cielo centrale dei sette delle sfere
dei pianeti, “stelle”, talora, anche, nel linguaggio di Dante: Luna, Mercurio,
Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Va dal primo
verso del canto X al verso 69 del XIV, per un totale di 643 versi. Il
centro del cielo corrisponde al verso 322° che è il verso 35 del
canto XII, verso mediano della 12a
terzina del XII canto. Il numero 12 è altamente simbolico: i
12 apostoli, i
12 sapienti, Cristo dodicenne al tempio, ecc. il verso 35 dà, come
somma, il numero 8, che è il numero della redenzione, significata
dal battesimo, i battisteri hanno in genere pianta ottagonale. Ma il
12 è anche multiplo di 3, risultato del prodotto tra 3 e 4: 3 è la
Trinità, 4 la croce del Cristo, i punti cardinali, le virtù
cardinali, i fiumi edenici, le parti del mondo. Quanto al cielo del
Sole, adombra la figura di Cristo, centro della Storia, e nei canti
centrali, XI e XII, sono delineate le figure
di santi che realizzano in terra
la figurazione del Cristo come Sapienza , San Domenico, e come
Redentore crocifisso, San Francesco. Nella terzina centrale di questo
centro del cielo del Sole, 12a
del XII canto, i due santi sono accomunati, e nel verso centrale
della terzina, che è il vero centro del cielo, sono “unificati”,
a realizzare anche nella struttura dei versi il rapporto trinitario
di un Dio in tre persone:
Degno
è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:
sí
che, com’elli ad una militaro,
cosí
la gloria loro insieme luca.
Ma
questo è solo un esempio, il più facilmente riassumibile. Assai più
numerose e intricate sono le simbologie numeriche di tutto il poema.
Evidente la programmazione dell’intera intelaiatura simbolica. Il
poema è stato progettato a pezzo a pezzo, con scrupolosa e capillare
strutturazione, misurando la collocazione della parole e delle
“figure” con precisione matematica. Impossibile non pensare a
tutte le svariate accuse
di intellettualismo, sterile formalismo, con cui da più parti è
stata aggredita e si continua ad aggredire in ogni tempo l’arte non
immediatamente comprensibile, e in particole le furibonde critiche
lanciate da più parti contro certa avanguardia. Aggrediranno costoro
anche la Commedia? Ma – a parte la condivisione o l’ostilità per
le poetiche particolari
-
sfugge a costoro che uno scrittore, un musicista, un artista che
voglia assumere nel proprio lavoro un metodo cifrato di scrittura,
ubbidire a pianificazioni particolareggiatissime dell’opera, non
impone a nessuno se non a sé stesso quel particolare metodo, quel
particolare lavoro. Se qualcuno eleva poi
la
formula a metodo universale non ne intende la natura. Il che è
tipico degli epigoni e degli imitatori, in parole povere dei
mediocri, che non hanno sufficiente fantasia né adeguata
intelligenza per crearsene uno proprio, di metodo, e inventarsene la
regola.
Dante
è stato un
mio punto di riferimento
costante fin da quando avevo 7 anni (non
si cerchi nessun significato simbolico in questo numero!) e
quando
scoprii
nella biblioteca di mio padre l’edizione delle opere di
Dante pubblicata
dalla Società Dantesca Italiana. A 7 anni quel libro mi parve un
codice cifrato, impenetrabile. Ma venerato come una reliquia. Anche
per il ritratto del poeta proprio
ad apertura di pagina: una riproduzione color seppia del ritratto di
Giotto nel Palazzo del Podestà a Firenze.
Qualche
anno dopo si aggiunse Leopardi, che mi parve già più comprensibile
(ma
era un’illusione giovanile).
Ancora più anni dopo Baudelaire. Restano, a tutt’oggi i miei tre
poeti principali di riferimento. Né dovrò spiegare, qui, la
sotterranea affinità che lega le Fleurs du mal alla Commedia.
Corollario
alla riflessione precedente la lettura dell’attacco, sublime, della
Vita Nuova. Che è a tutti gli effetti la prima autofiction della
nostra letteratura. Del resto una sorta di autofiction è la stessa
Commedia, altro che moda di oggi, come
leggo sull’ “Espresso”!
Si noti la scorrevolezza dell’attacco
e l’insistenza sul numero nove nel secondo capitolo.
Fiano
Romano, 6 gennaio 2018
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