DOPO IL PROMETEO
Sestina per Luigi Nono.
Inabissàti: lunga eco del
canto
più che memoria gl’inconclusi
spazi
ai sopraggiunti silenzi dal
tempo
disconnette, ma sillaba
l’istante,
innominato, ne disserra un
suono,
e dall’atto germoglia la
parola.
Ma nell’atto non è solo
parola
la lung’attesa che dischiude
al canto
tra le sillabe il fremito del
suono,
né interminati vibrano gli
spazi
allo schiocco dell’ora in
cui l’istante
schiude, senza ritorno, un
altro tempo
da quello che memoria dice
tempo;
l’atto del dire non chiude
parola
che nel breve finire
dell’istante,
ma si dischiude da quel punto
il canto
e dentro si racchiudono gli
spazi
dov’è tempo lo scorrere del
suono.
Oltre non hai né tempo più
né suono:
ma l’informe durare senza
tempo,
nuda carta, vertigine di
spazi,
che invano aspetta un solco di
parola,
perché a un tremito d’onda
esploda il canto,
e nasca nell’esplodere
l’istante.
Ma esplosa, dentro il canto,
in quell’istante,
soltanto la parola, un puro
suono,
nella memoria, si disegna
canto:
oltrepassato, e smemorato, il
tempo,
una traccia condensa la parola
e disegna tra fossili gli
spazi.
Deserti dopo l’estasi gli
spazi,
culmine invalicato
dell’istante
l’atto che disinnesca la
parola,
ultimo tempo in cui si spezza
il suono,
onde rifratte di memoria il
tempo,
qui s’addensa e per noi
germina il canto:
ultimo canto di deserti spazi,
qui perde il tempo il proprio
ultimo istante,
si fa parola ed abbandona il
suono.
Venezia, 12-20 giugno 1993.
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