TEATRO
POTLACH, FARA IN SABINA
Processo
a Brancusi
Teatro
e arte contemporanea
Regia
di Pino Di Buduo
Processo
a Brancusi è una “nuova produzione del Teatro Potlach, che vuole
interrogarsi sul senso dell’arte”.
Questione
immensa! Queste righe, infatti, non vogliono essere né una
recensione dello spettacolo, né una risposta alla domanda che sembra
porre.
Gli
attori e gli amici del Teatro Potlach, infatti, hanno semplicemente –
ma davvero era poi così semplice rappresentare ciò che al processo
fu discusso? - hanno semplicemente, ripeto, sceneggiato un processo,
seguendo fedelmente la redazione dei verbali.
Ma
di che processo giudiziario si tratta? Di quello intentato da
Costantin Brancusi nel 1926 agli Stati Uniti, per avere preteso il
pagamento di una tassa per l’ingresso di una scultura, Uccello
nello spazio, che il doganiere si rifiutò di classificare come
“opera d’arte” e che definì invece “utensile di cucina”.
La sentenza è sorprendente. Il giudice, o meglio i giudici, perché
erano due, George Young e Byron Waite, compresero che il concetto di
arte cambia con il tempo, che la cultura ne allarga via via il campo.
E riconobbero pertanto la legittimità del ricorso.
“L’oggetto
considerato […] è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche
difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è
piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che
si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale
[…] Accogliamo il reclamo e stabiliamo che l’oggetto sia duty
free. Che abbiamo o no simpatia per le idee nuove o quelli che le
rappresentano, pensiamo che la loro esistenza e la loro influenza nel
mondo […] vada presa in considerazione.”
Così
recita la sentenza dei giudici chiamati a decidere se Uccello nello
spazio fosse o no un’opera d’arte.
Ora,
a questo punto alcune riflessioni sorgono spontanee. Troppo facile
accusare d’ignoranza e incultura lo zelante doganiere F.J.H.
Kracke.
Quanti oggi reagirebbero allo stesso modo davanti a una “scultura”
di Brancusi? O a una installazione di Cattelan? Ricordo che a Bologna
anni fa fu sequestrato come materiale pornografico una serie di
fotografie che dovevano essere esposte in una mostra del nudo nella
fotografia. E’ recente, inoltre, la polemica sollevata a Milano sul
Teatro di Burri in un Parco cittadino o a Roma sulla nuova
sistemazione della GNAM (Galleria Nazzionale d’Arte Moderna). In
una grande sala di quest’ultima, sul pavimento giace l’opera di
Pino Pascali chiamata “32 metri quadrati di mare circa”. Sono
vaschette quadrate riempite di acqua. Nella grande sala c’è un
Mondrian al muro e in fondo la scultura di Canova che rappresenta
Ercole nell’atto di scagliare Lica nello spazio. Da un certa
angolazione visiva Canova si specchia nel mare di Pascali. Ecco che
l’arte del passato dialoga con l’arte del presente. Non solo, ma
trasferendo lo sguardo dalla composizione di Mondrian al mare di
Pascali ci si accorge che il processo di astrazione è il medesimo. E
tutt’e tre le opere sono una rappresentazione dello spazio, della
percezione dello spazio. Proprio come l’ “uccello” di Brancusi.
Una volta che stavo visitando la galleria romana, proprio davanti al
“mare” di Pascali l’uomo attempato di una coppia ben vestita,
con smorfie di disgusto, esclamò: ma questa non è arte! Nell’anno
di grazia 2018.
Spettacoli
come questo stimolano, dunque, lo spettatore a riflettere sulla
banalità di molte delle proprie convinzioni. Sull’ingannevole
semplicità di talune idee credute invece verità inossidabili. Per
esempio, che l’arte debba rappresentare la realtà. Che la musica
debba avere una melodia. Che la poesia debba essere comprensibile. Ma
quale realtà deve rappresentare l’arte? Quella che vede anche una
fotografia? Ma che tipo di fotografia? Oggi l’ “arte”
fotografica è andata molto avanti nel trasformare l’immagine
catturata. E che melodia dovrebbe intonare una musica? Tonale?
Modale, pentatonica? E perché una successione di suoni che non
osservi nessuna regola tonale, o modale, non potrebbe essere intesa
come melodia, fossero pure due soli suoni o addirittura uno, ma
articolatissimo, come avviene già per esempio in Webern, e siamo
agli inizi del Novecento? E quanto comprensibile una poesia? “Al
poco giorno e al gran cerchio d’ombra”, verso con cui comincia
una splendida sestina di Dante è verso immediatamente comprensibile,
il lettore già capisce, alla prima lettura, che si sta parlando
dell’inverno?
Bravissimi,
dunque, gli attori del Potlach. Il pubblico è uscito, dopo lo
spettacolo, con qualche dubbio in più sulle proprie idee intorno
all’arte. E soprattutto comprendendo che il cammino della verità
non è avviato dalle certezze, bensì dai dubbi che mettono in
discussione le certezze acquisite. Sempre, senza eccezioni. E nemmeno
questa non è una certezza, ma una condizione: la condizione di
qualunque ricerca. Perché anche l’arte è una ricerca, che non ha
mai fine.
Fiano
Romano, 4 marzo 2019
Nessun commento:
Posta un commento