mercoledì 29 gennaio 2020

Canciones clásicas españolas




Fernando Jamandreu Obradors (1897-1945)
Canciones clásicas españolas
Complete art songs
Daniela Nuzzoli. mezzosoprano
Raúl Hernández, tenore
María Laura Martorana, soprano
Olaf John Laneri, pianoforte

Da Vinci Classics C00192
1 cd


Dame, amor, besos sin cuento,
Asido de mi cabellos,
Y mil y ciento tras ellos,e dopo quelli mille e cento,
Y tra ellos mil y ciento.
Y después …
De muchos millares, tres!
Y porque nadie lo sienta
Desbarateremos la cuenta
Y … contemos al revés.

Così canta il poeta rinascimentale spagnolo Cristóbal de Castillejo. Dammi, amore, baci senza numero, / afferrato per i capelli, / e mille e cento dopo quelli, / e dopo … / di molte migliaia, tre! / E perché nessuno se ne accorga / disfaremo la somma / e … conteremo al rovescio. La fonte è un carme di Catullo, il quinto: Vivamus, mea Lesbia. Ma semplificato, ristretto ai soli baci, senza le ironie sociali del poeta latino e, soprattutto, eliminando il riferimento, per uno spagnolo del Cinquecento – e in genere per un cristiano europeo, sia cattolico sia protestante, e in realtà anche per il miscredente – insopportabile, alla “perpetua notte” ch’è il regno della morte: bisognerà aspettare il Coro dei morti di Leopardi, e il Tristano di Wagner perché una simile idea si ripresenti come probabile e accettata dall’europeo. Ecco, comunque, il testo di Catullo (e la sua traduzione in italiano):

Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum seueriorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit breuis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus inuidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.



Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e i rimproveri dei vecchi criticoni
tutti insieme non consideriamoli un soldo.
I giorni tramontano e tornano;
ma per noi una volta che tramonta la breve luce,
dobbiamo dormire una sola perpetua notte.
Dammi mille baci, poi ancora cento,
poi altri mille, poi ancora altri cento,
poi di seguito mille, e poi di nuovo cento.
Quando infine ne avremo dati molte migliaia,
le confonderemo, per non sapere,
e perché nessun maligno ci invidi,
sapendo che così grande è il numero di baci.


Castillejo si dimostra, dunque, un poeta aggiornato alle poetiche rinascimentali e, anche se probabilmente agnostico, ubbidisce al diffuso rispetto cristiano della morte. Tuttavia, più interessante è notare che il carme, scritto da Catullo in eleganti endecasillabi faleci, è invece da Castillejo riscritto in un metro popolare spagnolo, la redondilla, quartine di ottonari con rima abba, che sarà nel secolo seguente anche uno dei metri del teatro. E non solo per l’attento osservatore dei costumi del popolo, ch’è l’immenso drammaturgo Lope de Vega, ma anche per il più raffinato Calderón de la Barca, che riassume il metro popolare trasformando in strumento di visionarie combinazioni fantastiche barocche. A dimostrazione del legame permanente della cultura spagnola con la cultura popolare, anche quando si innalza nelle sfere di una poesia quasi metafisica e astratta. Si pensi solo alle vertigini immaginifiche di un Góngora. Come nella pittura, del resto, dove convivono Velázquez e Murillo, Ribera e Zurbarán, o El Greco (che è in realtà è cretese – ma la cultura greca conosce misture simili a quelle della cultura spagnola). Ora, questo riferimento continuo, sia diretto sia filtrato da una prospettiva colta, alla cultura popolare distingue da subito la poesia, e la letteratura, spagnola da quella italiana coeva. Anche il riferimento colto è, infatti, inserito in un contesto leggibile, popolare, che rifiuta la separazione dotta, il livello letterario alto esibito come esclusivo, separato. La cultura spagnola, anche la più colta, è invece sempre inclusiva. Ciò potrebbe spiegare anche certe evoluzioni della società spagnola contemporanea, per esempio, nel cinema. Ma questo è un altro discorso. Non che nella poesia spagnola manchi comunque un livello alto, anzi è spesso ricorre a un livello più elaborato, più artificioso, di quello italiano. Ma, ciononostante, la lingua adottata non è mai una lingua separata dalla lingua parlata.

In Italia questa mescolanza di livelli la troviamo solo nella commedia e nella poesia satirica. Ancora più interessante è il fatto che questa poesia diventi una canzone popolare (le proteste studentesche nella Spagna di Franco facevano uso di canzoni i cui versi erano poesie dei due fratelli Machado, Antonio e Manuel, di Lorca, di Jiménez, nessuna censura avrebbe potuto proibirle) e ancora più significativo è il fatto che la canzone popolare sia in seguito rielaborata, quattro secoli dopo, nel primo novecento, tra gli altri, da Fernando Jamandreu Obradors, un compositore catalano che ne fa una pagina di musica “colta”.

Non ci si meravigli, però, che sia un musicista spagnolo a farlo. La cultura spagnola, a differenza di quella italiana, conserva sempre, come si è visto fino ai giorni nostri, contatti indissolubili con la cultura popolare. Questa cultura, però, non è mai guardata come fenomeno esotico, come corpo estraneo al livello alto della società, come cosa da ridere, e goduta dall’alto di una cultura superiore, come invece, che so, da noi si osserva nella Nencia di Barberino di Lorenzo de’ Medizi, o in Ruzante, bensì con è assunta con una completa condivisione di stile e di sentimenti, di cui per esempio il teatro di Lope de Vega costituisce uno dei vertici. Ma anche la narrativa, la pittura, la musica hanno lquest stesso carattere. Cervantes, Ribera e Velázquez. Domenico Scarlatti è un musicista italiano, ma trapiantato a Madrid si adegua mirabilmente a questo clima culturale, la sua musica accoglie ritmi, melodie, modi della musica popolare spagnola.

Obradors, in qualche modo, fa un’operazione simile: traslata a un livello colto la musica popolare che ascoltava cantare per le strade. Ma a differenza dei suoi contemporanei Falla e Granados, per i quali è il lato popolare il centro dell’interesse e ciò che deve essere messo in evidenza, per Obradors, il musicista del salotto borghese, è il pubblico borghese dei salotti il pubblico delle sue canzoni. Tant’è che queste canzoni girano il mondo, ancora, oggi, nelle sale da concerto.

L’operazione di Obradors, se ci si riflette, ha qualche punto di affinità con i Folk Songs di Luciano Berio: ci troviamo mezzo secolo dopo, ma Berio, che ha, tra l’altro, anche splendidamente strumentato per orchestra la parte pianistica delle canzoni popolari di Falla, anche lui trasferisce a un livello alto, “colto”, la fonte popolare. Non sono passate invano i decenni di ricerche sul canto popolare di Bartók, tra gli altri (e anche a Bartók alludono i suoi duetti per due violini), e gli studi di un De Martino, che proprio in quegli anni trovarono finalmente spazio anche nelle aule universitarie. Obradors è amico di Felipe Pedrell (1841-1922), colui che avvia il confronto della musica spagnola con la musica europea, soprattutto francese, dell’epoca, ma che invita anche al confronto con la secolare tradizione popolare spagnola.

Queste canciones clásicas españolas sono una delizia. Raffinatissima la scrittura pianistica, che richiama chitarre, castañuelas (nacchere), violini gitanos. Del canto gitano sono assunte anche le fioriture. Ma non tutto il canto popolare spagnolo è gitano. Ammirevole è anzi la varietà di fonti e di stili. Gli interpreti di questo cd vi aderiscono con intelligenza e penetrazione, tenendosi ugualmente lontani dal conferire alle loro interpretazioni un carattere troppo popolare o troppo colto. La piacevolezza, comunque, è l’aspetto che subito conquista l’ascoltatore, che non vorrebbe mai smettere di ascoltare. Tanto più che sono incisi tutti e quattro i volumi delle canciones, più due canciones non comprese nei quattro volumi. In totale 25 canciones. Qualche acuto sopranile non proprio preciso è l’unica ombra che si può rimproverare a un’interpretazione per il resto sempre luminosa. E avrebbe aiutato il piacere dell’ascolto avere inserito nel booklet i testi delle canciones. Ma è già un regalo che finalmente ci si offra un’esecuzione integrale delle canzoni di Obradors. E’ un pezzo della storia culturale della Spagna, e dunque dell’Europa, moderna, che nessun europeo che voglia considerarsi colto, informato, può permettersi d’ignorare. La storia culturale del Continente passa anche attraverso queste opere così cariche di memoria e insieme così aperte a futuri sviluppi.


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