Aggiornamento sulle vicende, tutto sommato comiche, della
mia recensione di “Inedia prodigiosa”, opera di Lucia Ronchetti, eseguita il 26
novembre scorso alle Terme di Diocleziano. Sembra che il problema non sia tanto
non avere messo in evidenza un discorso sull’anoressia, bensì il fatto che
l’articolo sia “incomprensibile”. Sic! Per chi non avesse letto, domenica
scorsa, la Repubblica, copio e incollo qui sotto l’articolo. Ditemi se vi
sembra davvero, come affermano i curatori della nuova pagina “culturale” della
Repubblica, Robinson, “incomprensibile”.
Fiano Romano, 3 dicembre 2016
FESTIVAL ROMAEUROPA 2016. AULA X
DELLE TERME DI DIOCLEZIANO
INEDIA PRODIGIOSA Choral Opera for treble female
voices ensemble, mixed Choir and amateur
female Choir, di Lucia Ronchetti. Libretto di Guido Barbieri.
Direttore Ciro
Visco
Coro dell’Accademia di Santa
Cecilia
Maestro del Coro Ciro Visco
Chorus e
Cantoria dell’Accademia di Santa Cecilia
Maestro del Coro Massimiliano
Tonsini
Commissione del
Teatro Massimo di Palermo
Si entra in un
luogo prodigioso, come recita il titolo dell’opera che vi s’interpreta e
idealmente vi si rappresenta, Inedia
prodigiosa, di Lucia Ronchetti, libretto di Guido Barbieri. “Teatro della
mente”, come nel rinascimentale madrigale drammatico. Si percorre quasi un
millennio di evocazione melodica del distacco dal mondo. Distacco è già il
luogo, le Terme di Diocleziano, in cui si rappresenta, col solo canto, l’estasi
dello svanire, del lasciarsi prosciugare, della fuga dalla vita. Diocleziano è
l’ultimo difensore dell’universalità laica dell’Impero: i cristiani sono visti
e sentiti come una minaccia dell’autonomia dello Stato nei confronti della
religione. Roma aveva accolto nei suoi culti tutte le religioni, perché di
fatto le asservisce al proprio dominio politico. I cristiani si rifiutano,
proclamano unica verità la propria fede, e perciò i Romani, da sempre ostili a
ogni forma di fondamentalismo, li sentono nemici, come oggi sentiamo nemici i
terroristi. Diocleziano perde. Pochi anni dopo, Costantino accetta il
compromesso di uno Stato che scende a patti con l’integralismo cristiano. Ma lo
Stato abdicherà e cederà al fondamentalismo dei Cristiani tutto il potere. In
Occidente l’Impero, corroso dalle invasioni, ma anche dai cristiani, finisce.
In Oriente, la nuova Roma, Costantinopoli, istituisce di fatto una teocrazia, e
dura altri mille anni. Guido Barbieri intesse un percorso vertiginoso di testi
che proclamano la dissoluzione del corpo, la libertà dalla vita. Perché di
questo si tratta: la pazzia estrema del desiderio di Dio, lo svuotamento della
vita, l’anelito alla morte, per ricongiungersi con il Principio della Vita,
sentito, furiosamente, in realtà, come trionfo della Morte. “Muero porque no
muero”, muoio perché non muoio, scrive Santa Teresa d’Avila. E ascoltiamo sante
mistiche, donne ansiose di annichilirsi, di consumarsi sono le voci di questa
sorta di cantata tragica dell’estasi di estinguersi: chiamarla perciò anoressia
è limitativo. Al solito, Leopardi mette a fuoco, e a nudo, in maniera
definitiva, la situazione: “Insomma questa vita è una carneficina senza
immaginazione e la sventura più estrema somiglia ad un vero inferno quando sei
spogliato di quell’ombra di illusione”. Ecco allora che ci sfilano nelle
orecchie le voci di Santa Caterina da Siena, Mollie Fancher, Anna Garbero, Maria Maddalena de’ Pazzi, Christina
Georgina Rossetti (sorella di Gabriele), Jeanny Ferry, e le polifonie che da
Perotinus fino a Monteverdi, attraverso Pierre de la Rue, Ockeghem,
Chardavoine, Cavalli, alle quali si affiancano le visioni sonore di Verdi,
Rigoletto, Requiem, Macbeth, innalzano i canti del delirio. E’ uno sprofondare
nel prosciugamento di sé stessi, le viscere delle digiunatrici emanano fetori
insopportabili, ma il corpo si è affinato fino a scomparire. Il cibo è sentito
come un elemento estraneo, distoglie dalla verità di sé stessi, anzi avvelena
la mente, e la vita si allontana per sempre, come un ingombrante, colpevole,
peccato di superbia. Tre cori, il Coro e la Cantoria dell’Accademia di Santa
Cecilia, e un coro amatoriale femminile percorrono tutte le possibili
intonazioni della voce, dal semplice parlato al borbottio ritmico, all’urlo, al
canto, alla melopea liturgica. Antiche
melodie e antiche polifonie sono citate come in pittura le figure in un collage
di Braque. Il tutto sotto la guida lucida e penetrante di Ciro Visco. Il
magistero contrappuntistico di Lucia Ronchetti costruisce, per lui, una
cattedrale polifonica d’effetto immediato. Le superfetazioni centenarie della
sublime facciata della Cattedrale di Strasburgo ne potrebbero essere l’analogia
visiva. Trionfo del gotico, del barocco, dell’ars subtilis esercitata dalle
avanguardie novecentesche. E il pubblico n’è conquistato. Applaude tutti e
applaude calorosamente.
Roma, 26 novembre
2016
Ho ricevuto, su Facebook,
molti consensi e molti elogi per la chiarezza e comprensibilità della
recensione. Qualcuno osserva, se mai, che non entro troppo nel merito della
musica, né mi diffondo a descriverla e spiegarla. E’ vero. Ma v’immaginate il
putiferio che avrebbe sollevato chi già così come l’ho scritto ha giudicato
“incomprensibile il mio articolo? Prudentemente, nelle recensioni
giornalistiche limito gli interventi propriamente musicali e letterari, proprio
perché so che risulterebbero ostici a chi governa le pagine di un giornale. Al
solito, costoro si rivelano più timidi del lettore. O forse la verità è più
sgradevole: non è il lettore che non capirebbe, sono loro che non capiscono.
Che non leggono. Che, salvo pochissimi, non vanno ai concerti, a teatro, al cinema.
E misurano dalla loro ignoranza l’ignoranza del lettore. Ma questa è l’Italia di oggi. Il paese con la
più bassa percentuale di laureati, di lettori di libri, di frequentatori di
teatro, in Europa. Ma anche, il che è
ancora peggio, quello, tra i paesi europei, con la più bassa mobilità sociale, che appare,
anzi, quasi inesistente. E forse quest’ultimo dato spiega molte cose.
Fiano Romano, 4 dicembre
3016
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