ROMA, PALAZZO
ALTIERI
FONDAZIONE
DUCCI
LUCA
CIAMMARUGHI esegue le musiche di
FRANZ PETER
SCHUBERT
16 DICEMBRE
2016
“Il
risveglio della coscienza, concerto contro la fame nel mondo”, s’intitolava la
serata organizzata dalla Fondazione Ducci, a Palazzo Altieri, in Piazza del
Gesù a Roma, venerdì scorso 16 dicembre.
C’erano l’Ambasciatore Manfredo Incisa di Camerana, già Direttore
Generale Aggiunto della FAO, il Presidente della Fondazione Ducci, Paolo Ducci
Ferraro di Castiglione. Pierpaolo
Bessio, “responsabile dei rapporti con enti e istituzioni del Banco Popolare”, che
ha sede appunto nel Palazzo Altieri, ha salutato gl’intervenuti. Lascio perdere
i discorsi d’introduzione, mi porterebbero lontano, a mettere in discussione l’efficienza
e l’efficacia di un organismo come la FAO, come del resto ha fatto, all’inizio,
presentando la serata, lo stesso Presidente della Fondazione. E vengo al
concerto in cui Luca Ciammarughi ha interpretato alcune pagine tarde di
Schubert, tra cui l’ultima, sublime, Sonata in si bemolle maggiore D 960.
Presentando le musiche che avrebbe poi suonato, lo stesso Ciammarughi ha
insistito sull’ambiguità del mondo musicale schubertiano, non nel senso che sia
un mondo sfuggente, ma in quello, più profondo, che non sono definiti i confini
del dolore e della gioia, dell’alto e del basso, del sublime e del volgare,
rappresentato, quest’ultimo, dall’irruzione di motivi e ritmi dichiaratamente
bassi, popolari, persino banali, come avverrà in Mahler, ma che acquistano un
significato addirittura tragico proprio perché messi a contrasto, o a contatto,
con un’elaborazione alta, raffinata della costruzione musicale. In Schubert
perfino la caratterizzazione dei modi non è ovvia. Non è detto, infatti, che il
modo minore esprima il dolore e quello maggiore la gioia. Anzi. Spesso il
riemergere del modo maggiore, e magari con una melodia semplice, la stessa
ascoltata all’inizio, conferisce alla pagina un sapore amaro, di rimpianto,
come l’emergere di una gioia sparita, di una felicità perduta. Al solito, è la
costruzione musicale a dare senso alle melodie, ai ritmi, e non il contrario. E’
l’accostamento delle frasi, il contrasto tra le sezioni, a chiarire il senso di
ogni particolare. Evidentissimo, questo, nel secondo Klavierstück in mi bemolle
maggiore, e ancora più, forse, nell’Improvviso in fa minore o in quello in la
bemolle maggiore offerto come bis. Questa forse troppo lunga premessa per
spiegare che cosa Ciammarughi voglia comunicare all’ascoltatore quando suona
Schubert. Di fatti colpisce subito il flusso
ininterrotto del discorso, la continuità dell’intrecciarsi delle diverse
sezioni di un movimento e dei movimenti in una pagina, sia essa un improvviso o
una sonata. Le mani scorrono da un punto all’altro con fluida naturalezza, come
se anche i contrasti più violenti raffigurino la mutevolezza ineludibile del
percorso narrativo. Perché la musica si fa racconto, e un racconto che precipita,
necessariamente, verso una catastrofe, anche quando questa si presenti con l’apparente
calma di un risoluzione consolatrice. Illusione: quella calma può essere anche
il silenzio finale. E’ questa l’ambiguità, in cui niente è stabile, niente è
definito, e tutto sembra destinato inesorabilmente a scomparire. Non a caso Schubert è attratto da ritmi
ossessivi, ripetuti, di marcia o di danza, che conferiscono all’andamento
musicale un carattere d’ineluttabilità. Tanto più miracolosa appare l’interpretazione
di Ciammarughi, quanto più modeste erano le risorse del pianoforte (un quarto
di coda!) a disposizione. Ma la sensibilità del tocco, la libertà del
fraseggiare sono riusciti a superare l’insufficienza dello strumento, tra l’altro
nemmeno perfettamente accordato. Queste brevi note per additare un musicista
che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni musicali italiane,
e di conseguenza anche dalla critica.
Fiano
Romano, 17 dicembre 2016
Nessun commento:
Posta un commento