Gianfranco
Pecchinenda, Essere Ricardo Montero,
Caserta, Lavieri, 2011, pagg.96, € 8,90.
Non è un
libro recente, ma merita che se ne parli, che se ne continui a parlare. La
letteratura della Nuova Italia , per rubare un’espressione allo storico e
critico più illustre della nostra letteratura (e di altre), Benedetto Croce,
oltretutto quasi concittadino dello scrittore, ma che dal suo pensiero è
distante anni luce, sopravvissuto ad altre, e forse più terribili catastrofi, e
meno attratto dal campo chiuso, quasi arcadico, in cui il filosofo sembra voler
racchiudere la letteratura, proprio perché il libro – romanzo? indagine?
racconto autobiografico? – non è inquadrabile in un genere particolare né tanto
meno disponibile a lasciarsi sezionare in pagine riuscite e pagine sorde alla
poesia. Con buona pace dell’abruzzese,
la letteratura andava, e va, oggi, per strade assai diverse da quella da lui
circoscritte e configurate. Non a caso il filosofo, e critico, cui Napoli
dedica perfino una strada, fu ostinatamente ostile alla letteratura moderna,
ebbe in astio Mallarmé, derise Pascoli, distrusse Pirandello, e se la prese
anche con chi, forse, di questi moderni in qualche modo era stato se non il
padre, certo l’apripista, Giacomo Leopardi, e proprio con quelle pagine delle
Operette Morali e dello Zibaldone da Croce con sufficienza demolite come
ambasce di adolescente. Sarà che anche Leopardi non era affatto sicuro che una
sola identità bastasse a capire il mondo, e in ognuna delle Operette, se ne
inventa un’altra. Ma veniamo al libro di Gianfranco Pecchinenda.
Sembra,
dicevo, che la letteratura della Nuova Italia, questa Italia del terzo
millennio, vada cercata fuori dei testi strombazzati dai premi più famosi e più
famigerati, negli scrittori esclusi, confinati nei margini di una vita
letteraria sterile e auto gratificante. Tra gli ultimi Strega non uno
memorabile. Né meglio va con il Campiello e altri consimili premi. Talora
qualcuno entra pure tra i probabili vincitori. Ma è subito escluso, non sia mai
la qualità della sua scrittura offenda la piattezza della prosa da tutti
celebrata. Non faccio nomi. Ognuno può rifarseli a mente. Da qualche tempo,
infatti, leggo con ammirazione e piacere romanzi di lingua francese, spagnola,
inglese, che sembrano confinare al confronto in una provincia striminzita i
nostri scrittori. Ma non è così. Perché scrittori non provinciali, che non
scimmiottano la moda del momento, esistono anche in Italia. E Gianfranco
Pecchinenda è uno di loro.
Questo
romanzo – o saggio sul romanzo, vedete un po’ voi – è la giustificazione, o
meglio la rivendicazione di un eteronimo. Ora di eteronimi è vissuta la
scrittura fin dalle sue origini. Chi è Omero o chi sono i poeti che ci sono
arrivati con il nome di Omero? Ma non andiamo così lontano. In qualche modo già
Platone, nei suoi inimitabili dialoghi, ci parla per interposta persona, con la
voce di eteronimi. Socrate, uno di questi. Ma anche Fedone, e Gorgia. Però
bisogna venire più vicino a noi. E allora, come non pensare a Kirkegaard? e, tra
gli italiani, a Nievo, sia Ippolito che Stanislao
Chi è dunque Ricardo Montero, per Gianfranco
Pecchinenda? Il narrante si divide tra
Parigi, Napoli, Buenos Aires e il Venezuela. Ma chi narra chi? Ognuna delle voci
narranti sembra nascondere un doppio e non si sa mai se, quando scrive, scrive
di sé steso o del doppio. Anche il
tentativo di eliminarlo, l’eteronimo, con un atto di violenza digitale,
cancellando il suo profilo da Facebook, costui
rispunta fuori con la memoria di tutti i nomi che ha assunto attraverso
il romanzo.
E’ un
eteronimo perfino lo scrittore, figura reale, di cui compare in copertina la
fotografia: un uomo con un cappello che tiene per mano una bambina. Lo
scrittore francese di origine russa Emmanuel Bove. Ma per il narrante la foto
prende le sembianze di Ricardo Montero. La sua eliminazione è stata solo
apparente. Perché poi a sbugiardarla compare, con una postfazione, un
personaggio di Miguel de Unamuno: Augusto Pérez. E’ il protagonista di uno straordinario
romanzo, Niebla, nebbia, che a un certo punto si ribella al destino che per lui
ha designato lo scrittore e va a visitarlo. “Io non voglio morire”. Lo
scrittore allora lo lascia uscire di casa, ma lo fa investire da un’automobile,
appena sbuca sulla strada. Spaventosa metafora della vita, del destino, di Dio,
se c’è, o piuttosto del caso. Unamuno ha scritto due saggi fondamentali della
cultura spagnola ed europea del Novecento: El Cristo de Velázquez e El
sentimento trágico de la vida. Ai quali bisognerebbe forse aggiungere Vida de
don Quijote y Sancho. In tutti e tre è impostato il tema della necessità di ciò
che accade, comunque accada. E dell’assoluta estraneità della volontà umana a
qualunque accadimento della vita e della storia. Si pensa alla Ginestra leopardiana: che differenza c’è tra l’eruzione del Vesuvio
che distrugge due città e il passo di un inavvertito camminante che calpesta e
distrugge un formicaio? Che la distruzione del formicaio è una catastrofe
maggiore, perché le formiche sono più prolifiche degli uomini.
Pecchinenda
non è così tragico, all’apparenza. Ma l’irruzione del personaggio di Unamuno,
alla fine, acquista quasi il senso di un nuovo eteronimo, eteronimo di Unamuno,
naturalmente, in primo luogo, ma anche dello stesso Montero, anzi, scusatemi,
di Pecchinenda, o no? Nel caos di quanto oggi accade nel mondo, Pecchinenda,
Montero, Unamuno, sono fuori strada? O proprio questa loro scissione in più
voci ci restituisce la molteplice e indecifrabile, moltiplicantesi
all’infinito, nostra condizione dis-umana di oggi? En passant, il narrante
parla di molteplici vicende di migranti. Ma non vengono in Italia dall’Africa o
dall’Asia. Sono italiani che emigrano nelle Americhe. Non fa male ricordarlo,
ogni tanto.
Ma lo
scrittore non avrebbe raggiunto l’obiettivo se a tenere insieme queste
molteplici e fuggevoli voci non ci fosse la tenuta di uno stile apparentemente
discorsivo, colloquiale, in realtà
lucidamente costruito per spaccare il capello in quattro, non solo, dei gesti
dei personaggi, ma delle malcerte sicurezze del lettore. Se, infatti, dopo avere
letto questo libro, ne uscite ancora con la certezza di sapere chi veramente
siete, allora vuol dire che in questo libro non ci siete mai entrati.
Tholaria,
Amorgós, Cicladi, Grecia, 10 luglio 2018.
Nessun commento:
Posta un commento