sabato 21 settembre 2019

Maurizio Baglini Project 2019: Beethoven, i Concerti




Uscire dal Teatro di Villa Torlonia, a Roma, dopo avere ascoltato il Terzo e il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, uscire dalla Villa, fare alcuni passi per Via Spallanzani, fino alla macchina, salirvi, accendere il motore e sentire alla radio, cominciato da poco, l’Adagio della Quarta Sinfonia di Mahler, non è solo un tuffo nella musica che ha raccontato un secolo di Europa, ma ci si sente stringere il cervello, l’utopia sprecata, la speranza delusa, l’immancabile ripetersi catastrofico della storia. Come se i bombardamenti francesi di Vienna, i campi di sterminio tedeschi continuassero, assumessero la ferocia del perenne rifiuto dell’altro che sembra dominare da millenni l’evoluzione del primate narcisisticamente autoproclamantesi sapiens. Il concerto beethoveniano chiudeva i giorni del Maurizio Baglini Project. La sinfonia mahleriana, diretta da John Axelrod, chiudeva le giornate di MITO.

Tornavo a casa. La sinfonia mi ha seguito fino a Monterotondo. Poi ho spento la radio. Il paradiso infantile cantato con così dolce struggimento da Mahler, rendeva per contrasto più brutale l’inferno di oggi. Ma già durante il concerto pensavo a quell’uomo solo, sordo, che sfidava gli odi del mondo invocando la fratellanza di tutto il genere umano. Il Terzo concerto op. 37 nasce molti anni prima ed è una pagina contraddittoria, tumultuosa: un primo tempo di disperazione assoluta, un largo di dolorosa interiorità, e quel rondò finale in cui la volontà, solo la volontà, non il cuore, impone una via di uscita, che non è il raggiungimento della pace, ma il rifiuto di cedere al dolore, all’ingiustizia che trionfa. 

 

Carlo Guaitoli questa contraddizione, così tipicamente beethoveniana, sembra quasi accarezzarla frase per frase: dall’energica entra delle scale al tema scandito per ottave parallele, interrotte subito da un accordo dissonante. E poi il canto, dolcissimo, struggentissimo, che sembra, per Guaitoli, la cifra dominante del concerto. Più che contrasti netti, Guaitoli sembra inseguire alternanze di uno stato d’animo costante: l’irrequietudine del sentimento si fa irrequietudine della forma, o più probabilmente viceversa, quel proporsi perennemente variata di una stessa idea è l’irrequietezza stessa della forma che cerca di fissare un pensiero musicale che corrisponda ad una inafferrabile inquietudine. La lunghissima cadenza, composta a concerto ultimato, riassume tutti questi atteggiamenti. Che è lo stigma del comporre per Beethoven fin dall’op. 1. I Trii op. 9, per archi, sono già la prefigurazione degli ultimi quartetti. Le due sonate op. 27, le sonate op. 30 per violino e pianoforte, la seconda sinfonia op. 36 composta simultaneamente al terzo concerto, rispecchiano tutte un clima di catene che si spezzano, di prigione formale da cui si evade. Eppure la scrittura non ha una sbavatura, un momento d’incertezza. Ci sono anzi punti d’invenzione orchestrale nuovissima. Indimenticabile il rispondersi del flauto e del fagotto nel Largo. O il disegno della testa del tema ripetuto come uno spettro, prima che il pianoforte riproponga il tema del rondò. Scrittura strumentale avveniristica, che preannuncia Čajkovskij (Bella addormentata), Mahler (Quarta Sinfonia, appunto). O meglio, di cui sia Čajkovskij sia Mahler si ricordano. 

 

Maurizio Baglini affronta, dopo, il Quinto Concerto op. 73. Qui il gioco della forma sembra prevalere sull’irruenza del sentimento. Ma ne siamo sicuri? Intanto Baglini sceglie un’altra via: esaspera i contrasti. Ma soprattutto mette bene in rilievo la perpetua trasformazione caleidoscopica delle idee musicali. Il concerto è così quasi un manuale della variazione. I temi si assomigliano perché in realtà tutti derivano da un’unica idea. E tuttavia l’idea si manifesta in forme diversissime. Idea dominante sembra quello delle scale, nel primo tempo assumono un ruolo prepotente, esclusivo. Ma in realtà servono a circoscrivere il campo armonico. Nel terzo concerto l’intonazione arpeggiata della triade. Qui la enunciazione di tutta la scala. I due concerti sono anche in relazione armonica, il Terzo è nella relativa tonalità minore della tonalità maggiore del Quinto: do minore, mi bemolle maggiore. Tonalità massonica. Le tre entrate brillanti del pianoforte all’inizio del concerto hanno lo stesso valore di scansione triadica di un’iniziazione che avevano i tre accordi che attaccano l’ouverture del Flauto Magico, anch’essa in mi bemolle maggiore. Massimiliano Caldi tiene insieme tutte le fila, dell’orchestra – romatreorchestra – e del pianoforte, con grande equilibrio. Sala stracolma, successo trionfale per tutti. E alla fine un bis delizioso: i due pianisti, Carlo Gaitoli e Maurizio Baglini interpretano un valzer di Brahms. Una leggerezza carica di memorie. 

 

Nei giorni precedenti Axel Trolese aveva interpretato il Quarto Concerto di Beethoven, e Maurizio Baglini insieme al violoncello di Silvia Chiesa, le cinque Sonate per violoncello e pianoforte. Un’infezione virale mi ha impedito di parteciparvi. Ma certo avranno degnamente completato il quadro così intenso di questo concentratissimo ritratto beethoveniano.

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