Qui sotto, due vignette "cristiane" di Charlie Hebdo e i ritratti
fotografici di Charles Baudelaire e Bernard.Marie Koltès. Non hanno
quasi niente in comune se non il fatto di appartenere alla cultura
francese. In comune, però, anche, c'è - naturalmente a livelli diversi
di altezza intellettuale ed estetica, anzi abissalmente distanti - la
stessa idea illimitata della libertà. Che è un'idea, non si dimentichi,
nata proprio in Francia, e già prima della Rivoluzione, direi perfino
con la teorizzazione dell'amore cortese, come scelta libera della donna -
si badi: della donna, non dell'uomo! e questo nel XII secolo! -
contrapposta alla costrizione del matrimonio. E' probabilmente questa
lunga storia francese della libertà che manca alla nostra storia
culturale. Non mancarono i contrasti, nemmeno in Francia. L'Encyclopédie
rischiò più volte di vedere bloccata la pubblicazione dei suoi 17
volumi. Baudelaire fu condannato per oscenità al processo contro le sue
Fleurs du mal. Al processo dichiarò: "chi si sente offeso dalle mie
poesie, non le legga!" E Koltès, nel 1988 scrisse un dramma che portava
sulla scena le vicende dell'assassino seriale Roberto Succo, diventato
Roberto Zucco (il suono della s veneta in francese è reso bene dalla z).
L'opera andò in scena a Berlino nel 1990 con la regia di Peter Stein.
Apriti cielo! Fu uno scandalo, una protesta generale, anche in Francia,
ma soprattutto in Italia: offende le vittime, nobilita un criminale. La
solita storia. Come se un drammaurgo dovesse chiedere permesso alle
vittime di un assassino del fatto di portare sulla scena la figura di
questo assassino. Shakespeare non avrebbe mai potuto scrivere un
Macbeth, o un Riccardo III, o un Re Lear. I Gloucester, i Lancaster, al
suo tempo, avevano ancora discendenti ragguardevoli e potenti. E' qui
che il moralismo, il perbenismo di molti si scontra con una realtà che
non capisce. Ai suoi tempi Alfieri fu sommerso da oltraggi e critiche
per avere portato sulla scena la figura di una figlia incestuosa. La
ritrae con molta pietà. E rappresentata, la Mirra commuove ancora oggi.
Ma per chi fa prevalere il rispetto del gusto, della morale, sulla
realtà dell'uomo, quella pietà sembra oscena. Soprattutto in un paese,
come il nostro, che alle formalità, al rispetto delle conenienze, tiene
molto. Il nostro migliore drammaturgo vivente, Fausto Paravidino, ha
messo in scena la morte di sua madre. Ma anche l'allegria che i figli,
fino alla fine, hanno voluto mantenere nella stanza d'ospedale dove la
malata terminale stava concludendo i suoi giorni. Per rispetto proprio
all'allegria della donna ch'era stata ed era la loro madre. Irrompe,
invece, nella stanza un vicino al quale stava morendo la moglie. "Ma vi
pare queso il luogo, dove ridere e schiamazzare come fate voi?" Ecco. I
figli, per costui, avrebbero dovuto strapparsi i capelli, piangere,
ricordare alla madre che stava finendo la sua vita! E questo, nella
concezione comune, conformista, formale, sarebbe stato un atteggiamento
adeguato. Non la pietà - e l'amore - che i figli dimostravano alla loro
madre rallegrando i suoi ultimi giorni di vita. Dove sta la vera pietà?
Sono sicuro che molti, guardando le due vignette, riterranno
giustificati gli islamisti che hanno sparato sui disegnatori. Meno
sanguinari, forse costoro chiederebbero solo di chiudere la rivista, di
vietarne la pubblicazione, che è poi solo un altro modo di ucciderli. Ma
fa così tanta paura la lbertà, quando è quella degli altri? In fondo,
si potrebbero rubare le parole a Baudelaire: se queste vignette
v'indignano, vi disturbano, vi paiono blasfeme, non guardatele! Chi vi
ci costringe? Non ho altro da dire. O forse molto. Ma parlerei, forse, a
chi non vuole udire, perché la libertà non è un concetto astratto, ma
un'esperienza che si vive giorno per giorno, che si dfende con le unghie
e con i denti, anche, e sopattutto, contro chi per principio la
sostiene, la libertà, se ne riempie la bocca, ma vorrebbe limitarne il
campo, definirne i confini. E che libertà sarebbe quella che prevede
limiti, confini? Da bambino e da ragazzo sono vissuto sotto una
dittatura, quella di Perón, non chiedetemi di porre limiti alla libertà
di nessuno. Gia so, però, che molti mi opporanno: libertà anche
d'uccidere? Risponderò: che c'entra? Chi uccide toglie la libertà di
vivere a chi uccide. E dunque uccidere non è una libertà, ma
un'abolizione della libertà. Una vignetta, una poesia,un dramma, a chi
toglie libertà? Chi se ne senta offeso non legga la poesia, non guardi
la vignetta, non vada a teatro.
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